Sì, l'empatia è necessaria e la tecnica pure; ma bisogna partire dall'idea che il mondo interno di ogni soggetto è unico e irripetibile. Se partiamo da questo presupposto allora si capisce come applicare la tecnica. Inoltre, altro concetto importante è che il sintomo è un riflesso dell'inconscio ed è una specie di adattamento alla situazione. Molto importante è anche la conoscenza topografica del cervello: se io credo in un inconscio ma non so nulla di memoria implicita, difficilmente capirò come applicare la tecnica. Altra regola importante è quella del determinismo psichico: l'inconscio determina certi comportamenti. Altra regola cardine è quella che le esperienze infantili sono determinanti; poi il concetto di transfert e contro-transfert di cui ho parlato nel precedente articolo.
Ciao. Una mia amica dello Scorpione è una bugiarda patologica e si crede di essere più in gamba degli altri! Da cosa dipende? Lo scorpione è un segno bugiardo e arrogante?
Lo scorpione omette, nasconde più che mentire. Tradizionalmente è il Gemelli quello più bugiardo; ma io ritengo che invece la bugia sia un meccanismo difensivo legato all'infantilismo: Luna dominante, Cancro, Pesci, a mio parere sono i veri bugiardi. Ma per essere più democratico direi che ognuno mente per ragioni diverse. Cosa è un meccanismo di difesa? È un meccanismo inconsapevole, inconscio, che si attiva quando è in arrivo un pericolo. A protezione dell'autostima, per non essere giudicati, per non essere criticati, possiamo "giocare" ad armi coperte e scrivere da anonimi; oppure possiamo mentire spudoratamente contro ogni evidenza. Ognuno di noi mette in pratica i suoi meccanismi di difesa e a dire il vero essi sono addirittura talmente necessari che organizzano la nostra vita psichica. Kernberg dice che questi meccanismi si evolvono in forme più patologiche quando il problema è importante.Per esempio si può passare dalla fase nevrotica a quella psicotica. Winnicot afferma che le difese sono interattive, cioè dipendono dalle interazioni, nascono in virtù delle interazioni e non sono qualcosa che accadono al soggetto senza una causa esterna. Quindi è l'ambiente che crea il manifestarsi di queste difese. Western e Lichtenberg affermano che i meccanismi di difesa dipendono dalla motivazioni di ognuno e comunque servono a nascondere la nostra vera natura. Bowlby aggiunge che le difese sono strategie per comportarci nella maniera più idonea alle diverse situazioni e che grazie a queste in realtà stiamo chiedendo un sostegno al prossimo. Una persona come la tua amica probabilmente sarà molto sensibile alle offese e per questo "mette le mani avanti" si difende mentendo e comportandosi un po' con arroganza.
Io e il mio ragazzo non riusciamo proprio a capirci. Ho visto che studi psicologia e vorrei un consiglio da te. Puoi aiutarmi?
Comunicare è forse la cosa più difficile ed è anche la cosa più naturale e spontanea che possa esistere. Persino non parlare, non dirsi niente è una forma di comunicazione a cui bisogna dare importanza. Certe volte non ce ne rendiamo conto, ma anche un nostro silenzio potrebbe essere frainteso. La comunicazione è anche un abbraccio, e spesso vale più di mille parole... È veramente impossibile non comunicare e ciò impone un comportamento da parte del prossimo: cioè se io affermo qualcosa, l'interlocutore si dispone in un certo modo. Quindi comunicare non è solo contenuto ma anche comportamento. Inoltre, durante la conversazione ognuno può usare una posizione diversa rispetto all'interlocutore; uno per esempio sempre dominante o entrambi nella stessa posizione. Altra cosa importante oltre alla volontà di farsi capire, sta nella "punteggiatura": cioè il momento in cui ai accede all'interno di una conversazione. Se per esempio il tuo lui entra nella tua conversazione in un momento tale da aver perso le premesse che sottostanno al tuo intervento, ecco che sarà difficile comprendersi.
Caro Al Rami, a mio figlio hanno diagnosticato un disturbo borderline mentre altri mi hanno detto che ha solo un disturbo dell'attenzione. Perché ognuno dice una cosa diversa?
Cara lettrice, devi sapere che la diagnosi è solo un punto di partenza che occorre allo psicologo per stabilire quale dovrebbe essere l'intervento migliore per contenere o guarire ogni soggetto. Si tratta di una generalizzazione. Lingiardi afferma che il sintomo non dovrebbe essere analizzato considerando il singolo soggetto, ma considerando pure in quale contesto si manifesta, e il contesto è quasi sempre una relazione. Per questo è possibile che in contesti diversi il soggetto si comporti in maniera diversa e che quindi, che ogni psicologo riconosca certi elementi delle dinamiche del soggetto in maniera diversa dagli altri, proprio perché il rapporto che si instaura è diverso. Magari c'è chi riesce scorgere meglio di un altro quali sono le motivazioni interiori di tuo figlio; i suoi valori, il suo modo di percepire la realtà, chi riesce a comprendere sino a che punto è o non è consapevole delle sue azioni. In ogni caso, la diagnosi non è cosa semplice. Esiste per esempio anche la necessità di una conoscenza nomotetica del soggetto analizzato, ossia la consapevolezza che ogni individuo ha delle specificità. E poi una conoscenza nomotetica caratterizzata dall'idea che ogni individuo ha delle caratteristiche che ricorrono anche in altre persone. C'è chi ha bisogno di fare test, chi di interrogare i genitori per poi formulare la sua valutazione che come ho detto prima è sempre provvisoria in virtù del fatto che il disturbo non necessariamente è in una fase stabile e che quindi potrebbe regredire, se possibile. Il DSM-V è il manuale diagnostico dei sintomi usato dagli psicologi ed è la guida per un'analisi statistica dei disturbi; cioè ci informa di quanti e quali sintomi sono necessari per far rientrare il soggetto in una data categoria. Siccome è cosa rara che il soggetto presenti tutti i sintomi legati a quella specifica patologia è molto facile collocare il disturbo in più categorie che hanno in comune gli stessi sintomi. Sta alla sensibilità dello psicologo identificare e dare un "nome" al problema; ma come ho scritto prima, ciò che conta è l'intervento da attuare.
Caro Al Rami, a mio figlio hanno diagnosticato un disturbo borderline mentre altri mi hanno detto che ha solo un disturbo dell'attenzione. Perché ognuno dice una cosa diversa?
Cara lettrice, devi sapere che la diagnosi è solo un punto di partenza che occorre allo psicologo per stabilire quale dovrebbe essere l'intervento migliore per contenere o guarire ogni soggetto. Si tratta di una generalizzazione. Lingiardi afferma che il sintomo non dovrebbe essere analizzato considerando il singolo soggetto, ma considerando pure in quale contesto si manifesta, e il contesto è quasi sempre una relazione. Per questo è possibile che in contesti diversi il soggetto si comporti in maniera diversa e che quindi, che ogni psicologo riconosca certi elementi delle dinamiche del soggetto in maniera diversa dagli altri, proprio perché il rapporto che si instaura è diverso. Magari c'è chi riesce scorgere meglio di un altro quali sono le motivazioni interiori di tuo figlio; i suoi valori, il suo modo di percepire la realtà, chi riesce a comprendere sino a che punto è o non è consapevole delle sue azioni. In ogni caso, la diagnosi non è cosa semplice. Esiste per esempio anche la necessità di una conoscenza nomotetica del soggetto analizzato, ossia la consapevolezza che ogni individuo ha delle specificità. E poi una conoscenza nomotetica caratterizzata dall'idea che ogni individuo ha delle caratteristiche che ricorrono anche in altre persone. C'è chi ha bisogno di fare test, chi di interrogare i genitori per poi formulare la sua valutazione che come ho detto prima è sempre provvisoria in virtù del fatto che il disturbo non necessariamente è in una fase stabile e che quindi potrebbe regredire, se possibile. Il DSM-V è il manuale diagnostico dei sintomi usato dagli psicologi ed è la guida per un'analisi statistica dei disturbi; cioè ci informa di quanti e quali sintomi sono necessari per far rientrare il soggetto in una data categoria. Siccome è cosa rara che il soggetto presenti tutti i sintomi legati a quella specifica patologia è molto facile collocare il disturbo in più categorie che hanno in comune gli stessi sintomi. Sta alla sensibilità dello psicologo identificare e dare un "nome" al problema; ma come ho scritto prima, ciò che conta è l'intervento da attuare.
Ciao, sono (...) ho letto l'articolo sulla teoria sistemica che hai scritto qualche giorno fa e so che ha qualcosa a che fare con le costellazioni familiari. Pensi sia un metodo valido?
Cara lettrice, in effetti hai ragione e penso che le costellazioni familiari siano un valido sistema per modificare le dinamiche all'interno di una famiglia; ma non ho esperienza per esprimere giudizi validi. Il mio è un semplice parere da "ignorante". L'idea è sempre quella che il sintomo è indice di una disfunzione del sistema di cui il soggetto fa parte. Per questo tipo di diagnosi occorre valutare l'asse verticale del soggetto, quello orizzontale delle relazioni e quello diagonale del tempo. Anche in questo caso è importantissimo il contesto, che secondo Minuchin è importante ricostruire per comprendere il problema. Nella terapia sistemica è fondamentale l'idea che cambiare l'organizzazione interna del sistema sia il modo per risolvere il sintomo, che è inteso come un problema che deriva da una scorretta comunicazione tra due o più individui. Anche in questo caso è importante usare il DSM; ma il riferimento vero e proprio è la relazione perché è lì che prende forma il problema. Allora se per fare diagnosi occorre osservare il sistema anche apportando il proprio supporto per vederlo agire, è ovvio che la diagnosi corrisponde anche alla terapia; poiché il fatto di far agire i comportamenti dei soggetti corrisponde già a un'azione terapeutica che costringe i soggetti ad applicare modelli di comportamento diversi da quelli che usa ricorrentemente. Qui parliamo della 2^ cibernetica, ossia di quella scienza che vede il terapeuta facente parte del sistema stesso e non esterno a esso. Cercando di scoprire la struttura nascosta, le dinamiche all'interno della famiglia, Minuchin agisce sul sistema stesso per valutare come i soggetti sanno cooperare e condividere.
Quali sono le fasi della terapia sistemica?
Una prima fase è detta associativa e concerne il modo mediante cui il terapeuta si interfaccia al singolo e alla famiglia in generale. Il modo di presentarsi e di interfacciarsi influirà sulla fiducia nelle sue capacità e nella sua autorità. In seguito lo psicologo si "accomoda" alle dinamiche della famiglia, non interviene a modificare nulla ma osserva pazientemente come i soggetti interagiscono. Successivamente chiede chiarimenti relativamente ai comportamenti messi in atto. Con la mimesi il terapeuta ricalca il temperamento di ogni componente della famiglia: se un soggetto è riservato di certo non è cosa adatta mostrarsi esuberante, ma è bene comportarsi alla stessa maniera, senza invadenza. È solo dopo che il terapeuta interviene per valutare il grado di flessibilità della famiglia a mettere in pratica nuovi comportamenti e nuove dinamiche relazionali. A quel punto la famiglia si accomoda allo psicoterapeuta che funge da regista, che sottolinea quel che loro non riescono a comprende, che sostiene, che guida, che assegna compiti, che modifica l'ambiente di interazione proprio per vedere come cambiano le dinamiche, perfino stabilire i confini che ogni individuo dovrebbe avere per manifestare la propria autonomia e individualità rispetto al gruppo.
Ciao Al! Mi chiedevo quale fosse il segreto per diventare un bravo psicologo. Grazie se vorrai rispondermi.
Il segreto per divenire un buon psicologo, secondo i manuali, è quello della creatività. È importante la teoria e la tecnica; ma ciò che fa la differenza è la propria sensibilità perché non si può applicare pedissequamente un sapere pensando che chi abbiamo di fronte sia solo un "numero". Egli è un essere umano con le sue peculiarità e unicità. Lo sguardo dovrebbe essere indirizzato alle proiezioni dell'individuo, ai suoi affetti; e solo se si ha empatia è possibile accedere al mondo interiore del soggetto, ma sapendo creare il clima di sicurezza favorevole al transfert.
Ho sentito dire che ci sono psicologi che preferiscono farsi chiamare consulenti. Come mai?
Nel modello terapeutico di Murray e Bowen si afferma che è preferibile usare il termine consulente familiare anzicché terapeuta, medico o psicologo. Questo dovrebbe avere un effetto psicologico sulla mente del consultante/paziente, perché molte persone provano vergogna a pensare di rivolgersi a uno psicologo ed è più rassicurante pensare a un consulente che ci risolve un problema relazionale invece che a uno psicologo che ci cura in disturbo mentale.
Spesso i genitori che hanno problemi se la prendono con i loro figli. Come mai?
Si tratta di una dinamica ricorrente quella di proiettare su di un figlio l'infantilismo e la difficoltà a risolvere i conflitti dei due genitori. Questo meccanismi si chiama triangolazione e dipende in larga misura dal livello di coinvolgimento che i due genitori hanno nei confronti dell "io familiare". Questo significa che ogni individuo ha un diverso livello di fusione con la famiglia di origine e questo comporta in larga o in minima misura atteggiamenti irresponsabili che possono portare, nei casi peggiori persino alla criminalità. Il problema fondamentale è che quando l'identificazione con la massa indifferenziata dell'io della famiglia è troppo alta e viene proiettato il problema su di un figlio, anche esso trasporterà le stesse dinamiche nella famiglia che andrà a creare; e se il meccanismo si ripete ancora allora è probabile che si possa giungere, per trasmissione, a un problema di schizofrenia.
Ciao Al! Mi chiedevo quale fosse il segreto per diventare un bravo psicologo. Grazie se vorrai rispondermi.
Il segreto per divenire un buon psicologo, secondo i manuali, è quello della creatività. È importante la teoria e la tecnica; ma ciò che fa la differenza è la propria sensibilità perché non si può applicare pedissequamente un sapere pensando che chi abbiamo di fronte sia solo un "numero". Egli è un essere umano con le sue peculiarità e unicità. Lo sguardo dovrebbe essere indirizzato alle proiezioni dell'individuo, ai suoi affetti; e solo se si ha empatia è possibile accedere al mondo interiore del soggetto, ma sapendo creare il clima di sicurezza favorevole al transfert.
Ho sentito dire che ci sono psicologi che preferiscono farsi chiamare consulenti. Come mai?
Nel modello terapeutico di Murray e Bowen si afferma che è preferibile usare il termine consulente familiare anzicché terapeuta, medico o psicologo. Questo dovrebbe avere un effetto psicologico sulla mente del consultante/paziente, perché molte persone provano vergogna a pensare di rivolgersi a uno psicologo ed è più rassicurante pensare a un consulente che ci risolve un problema relazionale invece che a uno psicologo che ci cura in disturbo mentale.
Spesso i genitori che hanno problemi se la prendono con i loro figli. Come mai?
Si tratta di una dinamica ricorrente quella di proiettare su di un figlio l'infantilismo e la difficoltà a risolvere i conflitti dei due genitori. Questo meccanismi si chiama triangolazione e dipende in larga misura dal livello di coinvolgimento che i due genitori hanno nei confronti dell "io familiare". Questo significa che ogni individuo ha un diverso livello di fusione con la famiglia di origine e questo comporta in larga o in minima misura atteggiamenti irresponsabili che possono portare, nei casi peggiori persino alla criminalità. Il problema fondamentale è che quando l'identificazione con la massa indifferenziata dell'io della famiglia è troppo alta e viene proiettato il problema su di un figlio, anche esso trasporterà le stesse dinamiche nella famiglia che andrà a creare; e se il meccanismo si ripete ancora allora è probabile che si possa giungere, per trasmissione, a un problema di schizofrenia.