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05 febbraio 2018

Campi di informazione e costellazioni familiari



CAMPI DI INFORMAZIONE E COSTELLAZIONI FAMILIARI
DI DOTT. GIUSEPPE GALEOTA AL RAMI

Ne avevo parlato molto nella mia tesi di laurea in psicologica clinica; ma quando ho partecipato a un incontro sulle costellazioni familiari, il mio stupore è stato grandissimo: anche lì si parlava del campo morfico di Sheldrake. Ma andiamo per ordine. 

Circa due anni fa ebbi modo di valutare due casi di presunta schizofrenia. Le modalità mediante cui i due casi convergevano in alcune manifestazioni mi portò a credere che l’interazione stessa tra due persone potenzialmente schizofreniche possa spingere a una sorta di “risonanza morfica” tale che la patologia possa svilupparsi. In sostanza i due sarebbero entrati in sintonia con un campo patologico, con un sistema patologico grazie alla loro interazione. 

Due anni dopo mi ritrovo a partecipare a una seduta di costellazioni familiari e non sapevo che anche Hellinger, il fondatore di tale pratica, applicasse nel suo metodo le intuizioni di Sheldrake. Quello che ho potuto constatare è stato molto interessante; ma prima di tutto va specificato cosa sono le costellazioni familiari. 

COME SI SVOLGE LA PRATICA DELLE COSTELLAZIONI FAMILIARI?
 
Un consultante si rivolge al terapeuta esponendo il suo problema all’interno di una sala dove si svolge terapia di gruppo. In realtà il gruppo svolge il ruolo di supportare sia il paziente e sia il terapeuta cosicché ogni membro si ritrovi a partecipare dell’evento e possa portare un contributo al paziente che richiede la terapia. Perciò quest’ultimo deve essere disposto a parlare pubblicamente del suo problema. Generalmente si parla di conflitti da risolvere e quindi il terapeuta chiede al paziente di scegliere alcune persone dal gruppo affinché possano rappresentare il disagio che sta vivendo. Per esempio, se il paziente ha un conflitto con la madre sceglie dal gruppo una donna che magari le somiglia per look, per aspetto o per semplice “sensazione”. Il costellatore, cioè il terapeuta, invita anche a scegliere una persona che possa interpretare il ruolo del paziente; e in base alla comunicazione non verbale, piccolissimi e quasi impercettibili atteggiamenti del corpo di questi “attori” scorge tutti quei segnali che possono essere utili per la risoluzione del conflitto.

Per esempio, se chi deve interpretare la madre della paziente gioca con la propria collana, il terapeuta interpreta quel segnale come un elemento che può essere utile, tramite la conoscenza del simbolismo, a trovare una soluzione al problema del paziente. Ogni gesto apparentemente casuale, ogni sensazione dei partecipanti è, per tale teoria, un risuonare dello stesso “campo morfico” dello stesso sistema energetico.

In pratica ciò che viene messo in scena e vissuto dai partecipanti, stando a questa teoria, dovrebbe propagarsi anche al sistema costituito dalla madre e dalla paziente reali. Questa propagazione avverrebbe per il semplice motivo che ogni membro partecipante alla seduta è entrato in “risonanza” col problema della paziente.  

Questa risonanza è reale poiché in effetti, durante il corso della terapia e della messa in azione delle dinamiche, sempre sotto la direzione della terapeuta, accade qualcosa che abbatte le barriere delle difese, abbatte certe resistenze interiori. Dall’esterno sembra di assistere a una specie di recita a volte dal sapore stopposo e mieloso, mentre l’intervento del terapeuta sembra essere troppo direttivo, in totale contraddizione con quel che è ritenuto scientificamente valido nelle terapie psicologiche “classiche”. Tuttavia va registrato che “l’insight” cioè la presa di coscienza di qualcosa che “guarisce”, è generato proprio dal clima di empatia generato dalle interazioni tra gli “attori” guidati dalle osservazioni del terapeuta. 

RICAPITOLIAMO 
 
In sintesi il paziente sceglie alcune persone che rappresenteranno il suo disagio interiore. Esse si collocheranno all’interno di uno spazio della sala, così come sentono, in maniera del tutto spontanea; e il terapeuta interpreterà ogni loro piccolo segno dandogli un significato utile per la risoluzione del problema. Questo sottintende che le persone citate in causa, senza saperlo entrano in risonanza quasi immediata col problema del soggetto ed è come se la loro comunicazione non verbale (gesti, pruriti, posizione del corpo etc. etc.) fosse già il risultato di questa interazione con un “campo di informazioni” generato dal paziente. Sarebbe come se le persone scelte fossero realmente l’espressione concreta del problema dichiarato dal paziente. Infatti esso durante il corso della terapia afferma che in effetti le persone scelte si comportano per davvero, per qualche strano mistero, come si comportano i propri cari. Tant’è che l’impatto emotivo di tale praticasembra essere sconvolgente.

PONIAMOCI UN PO' DI DUBBI

La domanda che ci si pone è questa: sebbene il cambiamento dello stato emotivo del paziente sia ben visibile durante e alla fine della seduta e sebbene questa “messa in scena” dia gli strumenti per vedere il problema da una prospettiva diversa, occorre capire se tale beneficio si propaga per davvero a distanza nel rapporto tra i paziente e le persone della sua vita. Dare credito all’esistenza di un “campo morfico”, ovviamente non è garanzia del fatto che esso possa esprimersi tramite la “risonanza” dei soggetti con il problema del consultante. E non sappiamo nemmeno se è tramite esso che avviene il cambiamento e se questo cambiamento perdura o se si propaga veramente anche nella vita reale del paziente. 

Mi è capitato di parlare con persone che hanno sperimentato le costellazioni familiari senza trarne benefici. Che i risultati positivi possano dipendere da un’autosuggestione? Potrebbe essere che il cambiamento avvenga solo perché il paziente si disporrà in maniera diversa nei confronti dei suoi problemi? Se così fosse non ci sarebbe bisogno di citare in causa il campo morfico di Sheldrake. Lo so che questo andrebbe a cozzare proprio contro quella che è la mia ipotesi scritta sulla mia tesi di laurea. Ma come ogni buon ricercatore è giusto mettersi sempre in discussione e porsi dei dubbi. 

Tuttavia va registrato il fatto che qualcosa accade. Che poi il potere terapeutico di tale pratica possa variare da soggetto a soggetto e che la cosa sia poco scientifica, non è molto importante. Ciò che conta è che funzioni, al di là delle teorie che possiamo costruire per spiegare cosa in realtà sta accadendo.

Ciò dimostra che sono ben consapevole della differenza tra il mondo dei fatti e il mondo delle nostre costruzioni mentali, di come le teorie, i nostri paradigmi mentali, condizionano la lettura che diamo dei fatti e l’interpretazione della realtà.


CONCLUDENDO 

Da qui a dire che a sto punto esisterebbe anche un campo di informazione astrologico a cui il soggetto si connette al momento della nascita, il passo è assai breve. In ogni caso non bisogna, a mio parere, commettere l'errore di pensare che le due cose (il campo morfico generato dalla risonanza tra le diverse persone e il campo morfico generato dal "cosmo" per questioni astrologiche) possano andare di pari passo o possano eslcudersi a vicenda. Su questo argomento non sappiamo granché e anzi, ladefinizione stessa potrebbe esere completamente sbagliata. Però le osservazioni mi spingono a pensare che qualcosa c'è, un campo di "informazione" che abbia una sua influenza sull'uomo è plausibile. Rimaniamo aperti a questa possibilità: male non fa.  

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NON DAREMO MAI A NESSUNO LA SODDISFAZIONE DI VEDERCI TRISTI!