Solo per "pirati" dell'astrologia...
Quello che critico è il fondamento filosofico dell'astrologia evolutiva: l'idea che ci sia uno "scopo" nell'esperienza dell'individuo, come se l'universo (o i pianeti) avessero un'intenzione, una spinta direzionale verso un fine (telos), tipica del pensiero di Alfred Adler e poi integrata in molte visioni spirituali e psicologiche. Io invece affermo una posizione molto più oggettiva e realista: i pianeti non vogliono niente, non ci chiedono niente, non hanno alcun compito per noi. Influenzano, agiscono, ma non intendono.
In pratica, rifiuto l'idea di un “progetto dell’anima” o di un “viaggio evolutivo”. Al contrario, vedo i corpi celesti come forze che si attivano in funzione della realtà concreta dell’individuo, senza proiezioni metafisiche.
È una posizione che restituisce rigore all’astrologia, perché la libera da sovrastrutture interpretative che spesso la allontanano dalla sua funzione originaria: osservare la relazione tra cielo e realtà vissuta, senza aggiungere finalismi. Posizione rara e, a mio avviso, molto coerente.
Eppure non sono in disaccordo con la teoria del "principio antropico forte"
Domande:
Erika scrive...
"E’ un tema molto affascinante,
Che mi suscita diverse riflessioni …
Mi
chiedo: che cos’è davvero uno “scopo”? È sempre frutto di un’intenzione
cosciente? Oppure può emergere come conseguenza naturale di un insieme
di forze che, pur non volendo nulla, generano
comunque un percorso riconoscibile? Se c’è uno sviluppo, una
trasformazione osservabile nell’individuo in relazione ai transiti
planetari… non è forse questo, di fatto, un “processo evolutivo”, anche
senza un soggetto che lo progetti?
Mi
domando anche se il “progetto dell’anima” o il “viaggio evolutivo” non
siano, più che credenze metafisiche, modi narrativi attraverso cui
l’individuo attribuisce significato alla propria esperienza. La nostra
mente cerca sempre un senso ,
e
forse non è un caso se queste narrazioni emergono spontaneamente anche
in contesti lontani tra loro. Non potrebbe essere che servano a
integrare l’influenza in una trama coerente?
E
infine: se eliminiamo ogni finalismo, ma lasciamo intatta l’idea di
influenza, cosa resta dell’esperienza individuale? È solo una reazione
passiva a forze esterne? Oppure c’è, comunque, un margine in cui
l’individuo interpreta, sceglie, trasforma? Anche questo, forse, è un
modo per parlare di evoluzione, ma con altri termini.
Mi
domando se il rifiuto dello scopo sia davvero più oggettivo, o se sia
semplicemente un’altra prospettiva filosofica, anch’essa fondata su
presupposti. Forse,e dico solo forse, non necessariamente più “vera”, ma
semplicemente più utile a chi desidera mantenere un certo rigore,
in cui anche io spesso sento più affinità . Eppure anche il rigore, in fondo, è una forma di scelta interpretativa.
Quanto
al principio antropico forte… chissà, forse lì si apre un altro
paradosso. Perché se l’universo è come è perché esistiamo noi ad
osservarlo, allora… chi influenza chi?



Ps. io non sono una pirata del cielo ,

Però il post mi ha permesso di porre domande e rfliessioni, in un certo senso “ universali “ e che mi pongo spessissimo."
Risposte:
vediamo
di rispondere a ogni domanda. Naturalmente si tratta di pure
riflessioni, nessuna verità ultima. Secondo il mio personale punto di
vista lo scopo, l'obbiettivo da raggiungere, può essere anche inconscio.
Per esempio lo scopo della specie
umana è la sopravvivenza. Lo scopo della vita, pertanto, è perpetuare
se stessa e in quanto tale è autoconvalidante. Lo scopo può essere
certamente dato da forze che modellano la volontà del soggetto: lam
sofferenza, per esempio, spinge allo scopo della felicità. La patologia
stessa ha una finalità se vogliamo. Dunque io non rifiuto
categoricamente la visione adleriana dell'esistenza. Ma questo non
significa che ci sia un processo evolutivo. La patologia stessa è
involutiva, ma ha una finalità anch'essa. Per questo io parlerei più di
astrologia dinamica, non di astrologia evolutiva. E sì, è tutto legato
alla necessità di dare u8n senso, e sotto questo punto di vista è ovvio
che questa visione corrisponda più a una narrazione che serve a dare un
senso al caos. Io faccio una distinzione tra finalità dei pianeti ed
esperienza umana che cerca un fine in quell'esperienza. Sono due piani
diversi. E ti chiedi se anche questo sia un modo per parlare di
evoluzione. Ma torno a dire, che questo può essere lo scopo
dell'individuo non dei pianeti. Se diciamo che i pianetiu hanno lo scopo
la finalità di evolvere il soggetto li stiamo vedendo in maniera
benevola! Li stiamo antropomorfizzando ulteriormente. Per quanto
concerne la questione del principio antropico forte
io
non escludo che esista una finalità o una coerenza profonda nella
struttura stessa dell’universo, una forma di ordine intrinseco che rende
inevitabile, o almeno altamente probabile, l’emergere della coscienza,
dell’ordine, della vita. È una possibilità che considero filosoficamente legittima.
In
altre parole, il cosmo potrebbe anche essere “progettato” o strutturato
in modo non casuale. Ma questo non significa affatto che ogni sua
componente come ad esempio i pianeti debbano avere una finalità misurata
sull’essere umano o sul suo sviluppo. Anche ammettendo che l’universo
nel suo insieme abbia una struttura teleologica, non ne consegue che i
pianeti abbiano uno scopo specifico nell’ambito astrologico. I pianeti
non agiscono per “farci evolvere”, per “educarci”, o per “spingerci a
realizzare il nostro potenziale”. Non sono guide, né strumenti
pedagogici dell’universo.
Essi
agiscono secondo leggi impersonali, coerenti, che si manifestano
concretamente e oggettivamente nella realtà del soggetto, ma senza
alcuna intenzionalità morale o spirituale nei nostri confronti.
Perciò
anche se viviamo in un cosmo che potrebbe avere una finalità più ampia,
questo non implica che ogni sua parte abbia una funzione finalistica
nel nostro vissuto individuale. I pianeti, in particolare, non vanno
umanizzati né trasformati in agenti di un processo educativo come si
dice oggi in astrologia.....