CAMPI DI INFORMAZIONE E COSTELLAZIONI FAMILIARI
DI DOTT. GIUSEPPE GALEOTA AL RAMI
Ne avevo parlato molto nella mia
tesi di laurea in psicologica clinica; ma quando ho partecipato a un incontro
sulle costellazioni familiari, il mio stupore è stato grandissimo: anche lì si
parlava del campo morfico di Sheldrake. Ma andiamo per ordine.
Circa due anni fa ebbi modo di
valutare due casi di presunta schizofrenia. Le modalità mediante cui i due casi
convergevano in alcune manifestazioni mi portò a credere che l’interazione
stessa tra due persone potenzialmente schizofreniche possa spingere a una sorta
di “risonanza morfica” tale che la patologia possa svilupparsi. In sostanza i
due sarebbero entrati in sintonia con un campo patologico, con un sistema
patologico grazie alla loro interazione.
Due anni dopo mi ritrovo a
partecipare a una seduta di costellazioni familiari e non sapevo che anche
Hellinger, il fondatore di tale pratica, applicasse nel suo metodo le
intuizioni di Sheldrake. Quello che ho potuto constatare è stato molto
interessante; ma prima di tutto va specificato cosa sono le costellazioni
familiari.
COME SI SVOLGE LA PRATICA DELLE COSTELLAZIONI FAMILIARI?
Un consultante si rivolge al
terapeuta esponendo il suo problema all’interno di una sala dove si svolge
terapia di gruppo. In realtà il gruppo svolge il ruolo di supportare sia il
paziente e sia il terapeuta cosicché ogni membro si ritrovi a partecipare
dell’evento e possa portare un contributo al paziente che richiede la terapia.
Perciò quest’ultimo deve essere disposto a parlare pubblicamente del suo
problema. Generalmente si parla di conflitti da risolvere e quindi il terapeuta
chiede al paziente di scegliere alcune persone dal gruppo affinché possano
rappresentare il disagio che sta vivendo. Per esempio, se il paziente ha un
conflitto con la madre sceglie dal gruppo una donna che magari le somiglia per
look, per aspetto o per semplice “sensazione”. Il costellatore, cioè il
terapeuta, invita anche a scegliere una persona che possa interpretare il ruolo
del paziente; e in base alla comunicazione non verbale, piccolissimi e quasi
impercettibili atteggiamenti del corpo di questi “attori” scorge tutti quei
segnali che possono essere utili per la risoluzione del conflitto.
Per esempio, se chi deve interpretare
la madre della paziente gioca con la propria collana, il terapeuta interpreta
quel segnale come un elemento che può essere utile, tramite la conoscenza del
simbolismo, a trovare una soluzione al problema del paziente. Ogni gesto
apparentemente casuale, ogni sensazione dei partecipanti è, per tale teoria, un
risuonare dello stesso “campo morfico” dello stesso sistema energetico.
In pratica ciò che viene messo in
scena e vissuto dai partecipanti, stando a questa teoria, dovrebbe propagarsi
anche al sistema costituito dalla madre e dalla paziente reali. Questa
propagazione avverrebbe per il semplice motivo che ogni membro partecipante
alla seduta è entrato in “risonanza” col problema della paziente.
Questa risonanza è reale poiché
in effetti, durante il corso della terapia e della messa in azione delle
dinamiche, sempre sotto la direzione della terapeuta, accade qualcosa che
abbatte le barriere delle difese, abbatte certe resistenze interiori.
Dall’esterno sembra di assistere a una specie di recita a volte dal sapore
stopposo e mieloso, mentre l’intervento del terapeuta sembra essere troppo
direttivo, in totale contraddizione con quel che è ritenuto scientificamente
valido nelle terapie psicologiche “classiche”. Tuttavia va registrato che
“l’insight” cioè la presa di coscienza di qualcosa che “guarisce”, è generato
proprio dal clima di empatia generato dalle interazioni tra gli “attori”
guidati dalle osservazioni del terapeuta.
RICAPITOLIAMO
In sintesi il paziente sceglie
alcune persone che rappresenteranno il suo disagio interiore. Esse si
collocheranno all’interno di uno spazio della sala, così come sentono, in
maniera del tutto spontanea; e il terapeuta interpreterà ogni loro piccolo
segno dandogli un significato utile per la risoluzione del problema. Questo
sottintende che le persone citate in causa, senza saperlo entrano in risonanza
quasi immediata col problema del soggetto ed è come se la loro comunicazione
non verbale (gesti, pruriti, posizione del corpo etc. etc.) fosse già il
risultato di questa interazione con un “campo di informazioni” generato dal
paziente. Sarebbe come se le persone scelte fossero realmente l’espressione
concreta del problema dichiarato dal paziente. Infatti esso durante il corso
della terapia afferma che in effetti le persone scelte si comportano per
davvero, per qualche strano mistero, come si comportano i propri cari. Tant’è
che l’impatto emotivo di tale praticasembra essere sconvolgente.
PONIAMOCI UN PO' DI DUBBI
La domanda che ci si pone è questa:
sebbene il cambiamento dello stato emotivo del paziente sia ben visibile durante
e alla fine della seduta e sebbene questa “messa in scena” dia gli strumenti
per vedere il problema da una prospettiva diversa, occorre capire se tale
beneficio si propaga per davvero a distanza nel rapporto tra i paziente e le
persone della sua vita. Dare credito all’esistenza di un “campo morfico”,
ovviamente non è garanzia del fatto che esso possa esprimersi tramite la “risonanza”
dei soggetti con il problema del consultante. E non sappiamo nemmeno se è
tramite esso che avviene il cambiamento e se questo cambiamento perdura o se si
propaga veramente anche nella vita reale del paziente.
Mi è capitato di parlare con
persone che hanno sperimentato le costellazioni familiari senza trarne
benefici. Che i risultati positivi possano dipendere da un’autosuggestione?
Potrebbe essere che il cambiamento avvenga solo perché il paziente si disporrà
in maniera diversa nei confronti dei suoi problemi? Se così fosse non ci
sarebbe bisogno di citare in causa il campo morfico di Sheldrake. Lo so che
questo andrebbe a cozzare proprio contro quella che è la mia ipotesi scritta
sulla mia tesi di laurea. Ma come ogni buon ricercatore è giusto mettersi
sempre in discussione e porsi dei dubbi.
Tuttavia va registrato il fatto
che qualcosa accade. Che poi il potere terapeutico di tale pratica possa
variare da soggetto a soggetto e che la cosa sia poco scientifica, non è molto
importante. Ciò che conta è che funzioni, al di là delle teorie che possiamo
costruire per spiegare cosa in realtà sta accadendo.
Ciò dimostra che sono ben
consapevole della differenza tra il mondo dei fatti e il mondo delle nostre
costruzioni mentali, di come le teorie, i nostri paradigmi mentali,
condizionano la lettura che diamo dei fatti e l’interpretazione della realtà.
CONCLUDENDO
Da qui a dire che a sto punto esisterebbe anche un campo di informazione astrologico a cui il soggetto si connette al momento della nascita, il passo è assai breve. In ogni caso non bisogna, a mio parere, commettere l'errore di pensare che le due cose (il campo morfico generato dalla risonanza tra le diverse persone e il campo morfico generato dal "cosmo" per questioni astrologiche) possano andare di pari passo o possano eslcudersi a vicenda. Su questo argomento non sappiamo granché e anzi, ladefinizione stessa potrebbe esere completamente sbagliata. Però le osservazioni mi spingono a pensare che qualcosa c'è, un campo di "informazione" che abbia una sua influenza sull'uomo è plausibile. Rimaniamo aperti a questa possibilità: male non fa.
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NON DAREMO MAI A NESSUNO LA SODDISFAZIONE DI VEDERCI TRISTI!