24 settembre 2011

Neutrini: più veloci della luce. Einstein smentito da Ereditato


http://youtu.be/Yb1t_CTuvyI
http://www.youtube.com/watch?v=Yb1t_CTuvyI

La conferma ufficiale è arrivata e la notizia non è affatto qualcosa di esclusivo interesse del mondo scientifico. La velocità della luce non è un limite invalicabile, come previsto dalla teoria della relatività estesa di Einstein, ma alcune particelle subatomiche, denominate al tempo da Enrico Fermi come neutrini, sembrano in grado di superarla. Di poco, pochissimo, oltre il limite dell’avvertibile, 60 miliardesimi di secondo più veloci, ma la conferma ad un’eventualità del genere apre scenari potenzialmente incalcolabili. Infatti secondo la teoria di Einstein la materia (ed il neutrino ha una massa, pur minima, 1 milione di volte inferiore a quella di un atomo) non potrebbe mai in nessun caso superare la velocità della luce nel vuoto, visto che, per un complesso intreccio matematico, ciò condurrebbe una qualunque quantità di materia ad avere una massa infinita e quindi per spostarla occorrerebbe un’energia infinita (quindi un’energia non esistente).

Questo incredibile risultato, che potrebbe portare ad una profonda rivisitazione della fisica come conosciuta dell’ultimo secolo, è stato raggiunto da un’equipe di ricercatori guidati dall’italiano Antonio Ereditato, grazie alla collaborazione internazionale Opera, che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15mila neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall’acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso. All’inizio nessuno credeva ai risultati e per circa 2 anni l’intero gruppo si è impegnato a cercare errori nelle misurazioni, ma alla fine si è capito che errori non c’erano. E tutto questo potrebbe portare a scoprire una nuova “costante dell’universo”, come detto da Roberto Petronzio, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: “Cominciare a ragionare su una nuova scala e che si entri in un territorio sconosciuto della fisica, nel quale si potrebbero incontrare, per esempio nuove dimensioni o addirittura una nuova costante fondamentale dell’universo”.



Antonio Ereditato, "padre" dell'esperimento
«Ci vogliono altre prove, ma i dati sono esatti

BARBARA GALLAVOTTI
Alla fine, ieri, è arrivato l'annuncio ufficiale. è la notizia che potrebbe rivoluzionare il modo di vedere l'Universo: i neutrini sembrano viaggiare più veloci della luce, stando alle misure eseguite dai ricercatori dell'esperimento Opera, in corso ai Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. In alcuni casi i neutrini prodotti al Cern di Ginevra sarebbero arrivati al Gran Sasso con 60 miliardesimi di secondo di anticipo sul tempo che avrebbero impiegato viaggiando alla velocità della luce. Forse, li ricorderemo come i 60 miliardesimi di secondo che hanno cambiato la fisica.

Professor Antonio Ereditato, lei è il coordinatore del test Opera: come ha vissuto questa giornata?
«Dal punto di vista delle coronarie, impegnativa. I nostri risultati non sono facili da credere, le persone che sono intervenute al seminario, qui al Cern, ci hanno sottoposto a un fuoco di domande. Ma siamo riusciti a far fronte agli interrogativi. Noi stessi non sappiamo ancora se i neutrini sono davvero più veloci della luce. Ma al momento questa è la nostra osservazione e volevamo che la comunità scientifica riconoscesse che abbiamo fatto bene il nostro lavoro. Forse poi risulterà che tutto è dovuto a un qualche fenomeno per ora non previsto: la scienza funziona così».

Dobbiamo credervi? Il vostro rapporto è sobrio, ma si chiude con una frase irrituale che rivela la straordinarietà dell'annuncio: «Nonostante l'ampia significatività della misura riportata e la stabilità dell'analisi, il potenziale grande impatto dei risultati motiva la continuazione degli nostri studi».
«Si tratta di un risultato così inaspettato che ci obbliga ad essere cauti. Ogni misura può essere alterata da due tipi di errori. In primis gli errori statistici, che possono derivare dalla scarsità dei casi esaminati: per questo abbiamo preso in considerazione un elevato numero di eventi, 15 mila, e continueremo a raccogliere i dati. Il secondo tipo di errore è sistematico e può essere dovuto a difetti delle strumentazioni. Ecco perché è necessario che le misure vengano ripetute altrove: esistono strumenti adatti sia negli Usa che in Giappone».

Nonostante le cautele, definite i vostri risultati «molto significativi»: perché?
«Le nostre stime dell'effetto combinato dell'errore statistico e di quello sistematico ci portano ad un margine di incertezza di 10 miliardesimi di secondo: anche nella peggiore delle ipotesi i neutrini avrebbero un netto vantaggio rispetto alla luce. Questo almeno risulta dall'analisi dei dati, che abbiamo svolto al meglio delle nostre competenze e tenendo conto degli effetti oggi conosciuti».

I neutrini sono particelle praticamente invisibili, ma misurate la loro velocità con incredibile precisione. Gli strumenti di Opera sanno registrarne l'arrivo, ma come capite quando partono?
«Produciamo dei protoni, che urtano contro un bersaglio e generano delle particelle chiamate pioni, che decadono e producono i neutrini. Di questo processo, l'unica cosa che possiamo controllare con precisione è il momento in cui si producono i protoni, ma è abbastanza per calcolare l'esatto istante di partenza dei neutrini».

Dovevate conoscere in modo precisissimo sia la distanza fra il Cern e il Gran Sasso che il tempo di percorrenza. Come avete fatto?
«Ci siamo affidati a esperti di geodesia della Sapienza di Roma e di istituti svizzeri e tedeschi. Per misurare le distanze sono stati utilizzati dei Gps sofisticati, mentre per i tempi di percorrenza abbiamo adoperato degli orologi atomici sincronizzati».

Un aspetto paradossale è che la misura è una sorta di «effetto secondario» dell'esperimento Opera.
«è vero. Opera è stato concepito per studi diversi, sull'oscillazione del neutrino. La misura della velocità l'abbiamo fatta quasi per scrupolo, ma ora ovviamente diventerà un filone importante dell'esperimento».

Come cambia la nostra visione dell'Universo?
«Non ne ho idea. Voglio concentrarmi sulla solidità di questa misura e, se verrà confermata, qualsiasi spiegazione teorica risulterà molto eccitante».

E la fisica sperimentale come cambierebbe?
«Nella fisica delle particelle ci sono tre filoni. Uno che esplora l'ignoto alle massime energie possibili, come si fa con l'acceleratore Lhc, un secondo che si concentra su misure di precisione, come nel caso di Opera, e un terzo filone che studia le particelle cosmiche. Penso che questi tre tipi di indagine debbano integrarsi e occorrerà portare avanti esperimenti congiunti».

Lei è un italiano che lavora a Berna, in Svizzera. è un cervello in fuga?
«Mi definirei un cervello che ha fatto i suoi conti. Fino a pochi anni fa avevo una posizione come dirigente di ricerca nell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, quindi ero al vertice della carriera. Però ho visto che a Berna era vacante un posto da professore ordinario e direttore del laboratorio di alte energie. Un ruolo attraente e così ho partecipato alla selezione. E ho vinto».