27 giugno 2011

costanti universali e astrologia 3^ parte


Alcuni scienziati si ponevano l'obbiettivo di definire le costanti universali attraverso la ricerca di numeri cosiddetti "puri". Secondo i pitagorici per esempio, ogni numero aveva un significato intrinseco, cioè, oltre a indicare un valore quantitativo doveva significare un valore qualitativo. Pitagora, appassionato di giochi matematici aveva stabilito che alcuni numeri erano puri e avevano proprietà positive: essi erano i cosiddetti numeri triangolari: 1, 3, 6, 10, 15, 21... 
Per l'identificazione del numero triangolare si sommavano una serie di unità disposte in righe ciascuna delle quali segnata rispettivamente con 1, 2, 3 unità e così via. Il triangolo evidentemente significava qualcosa di positivo perchè dal segmento base rappresentate la terra si passa all'unità divina rappresentata dal vertice. 


Ma altri numeri hanno destato l'interesse degli scienziati perché rivelatisi costanti nell'universo: possiamo citare la sequenza di Fibonacci che descrive bene l'esistenza di queste costanti numeriche universali tali da essere ripetute in diverse figure e forme della natura, dalle conchiglie alle galassie. La sequenza di Fibonacci consiste di un numero corrispondente alla somma di se stesso col numero precedente:

1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55....
(1+1=2; 2+1=3; 3+2=5, 8+5=13 etc. etc.) 

Arrivando ai giorni nostri le "coincidenze" sembrano non diminuire: un numero definito puro è la costante di struttura fine (indicato con  α): si tratta della combinazione della 
carica dell'elettrone (e), della velocità della luce (c) e della costante di Plank (h). Se i valori di questi elementi fossero diversi da quelli che conosciamo, l'universo non potrebbe esistere: si tratta di elementi invariabili. Il rapporto tra questi valori è pari a 1/137, un numero che compare in modo frequente in decine di altri valori astronomici o molecolari. 
Insomma,  non si tratta di coincidenze perché sono troppi i casi in cui vi è questa corrispondenza. Giacché dai precedenti articoli abbiamo stabilito che il simbolo archetipico è una costante universale, allora ritengo che anche esso debba in qualche modo essere rappresentato da un numero o da una sequenza precisa, tale che possa rivelarci delle informazioni utili a comprendere la realtà in cui viviamo.  Le premesse dei due articoli precedenti servivano quindi a fissare alcuni punti indispensabili per procedere col ragionamento.

Sappiamo che le leggi universali stabiliscono il modo in cui le cose si comportano e non il modo in cui dovrebbero comportarsi. La seconda affermazione è prerogativa del ragionamento analogico spesso utilizzato in astrologia erroneamente prima ancora di giustificare le osservazioni. Più volte ho scritto come tale atteggiamento possa rivelarsi controproducente oltre che dannoso perché pretende di determinare la verità proprio attraverso ragionamenti controfattuali, ipotetici: si darebbe per scontato che le cose vadano in un certo modo solamente perché ci aspetteremmo di trovarle così e non altrimenti. Le nostre aspettative, dunque, si basano su procedimenti analogici che come ben sappiamo variano da soggetto a soggetto: ognuno si aspetterebbe di trovare quel che gli suggerisce il proprio ragionamento analogico, per lo più  sulla base di qualche indizio. Si darebbe per certa una tra le tante possibilità e questo a mio parere non dovrebbe essere l'atteggiamento giusto del ricercatore.

Invece abbiamo detto che per stabilire come le cose si comportano è necessario osservarle. Attraverso il principio antropico debole sappiamo che ciò che possiamo aspettarci di osservare deve essere limitato dalla condizione necessaria per la nostra presenza come osservatori. Questa condizione è data dalle costanti universali che attraverso i loro valori hanno permesso che in un dato momento storico dell'universo comparisse la vita intelligente e quindi degli osservatori. Da ciò ne segue il principio antropico forte: l'universo e le sue leggi devono essere tali da ammettere in una qualche fase la creazione di osservatori al suo interno. Dunque la comparsa dei simboli archetipici nella loro funzione di costanti universali, e se davvero ha tale funzione, han ragione di esistere grazie al fatto che ci sono osservatori che ne testimoniano la sua esistenza.
Questo approfondisce ulteriormente quanto detto nell'articolo precedente.

Per scoprire la valenza numerica del simbolo archetipico, mi occuperò di  definire quali sono le parti che lo costituiscono, se tale suddivisione è sufficiente e necessaria e cercherò inoltre di rispondere a tanti altri interrogativi che sorgeranno durante il percorso di ricerca.